Una riflessione sulle capacità gustative

LUNGA PREMESSA MEDICO-CULTURALE
(Un po pesa, si, ma serve a chiarire la riflessione di fine post)

La natura ci ha fornito cinque organi di senso che ci permettono di interagire con ciò che ci circonda: vista, udito, tatto, gusto ed olfatto.

Non sempre li usiamo al meglio: a causa di vari fattori alcuni di questi sensi possono essere più o meno sviluppati. I musicisti hanno più probabilità di addestrare meglio l'udito; pittori ed arcieri la vista ecc.

Ne deriva che con l'allenamento ognuno di noi può essere in grado di affinare i propri sensi portandoli a risvegliare sensibilità solitamente sopite.

Un caso che ultimamente va molto di moda é quello dei corsi di sommelier, in cui si può imparare ad identificare sfumature di gusti che, senza allenamento, appaiono indistinti. Un secondo esempio viene dalla musica: le sfumature sonore delle tradizioni musicali asiatiche sono molto differenti da quelle occidentali e pertanto molta musica orientale suona alle orecchie di un occidentale non allenato come "una lagna indistinta" (non parliamo qui del valore artistico della musica, quanto la capacità di coglierne le sfumature).

Vi sono però dei limiti fisiologici che nessun allenamento é in grado di far superare. Chi ha problemi di vista, per quanto si alleni, oltre un certo punto avrà bisogno degli occhiali; con nessun addestramento un daltonico riuscirà mai a distinguere il rosso dal verde mentre chi ha problemi d'udito non può riconoscere determinate sonorità.

Nel determinare la sensibilità sensoriale vi sono sia fattori fisiologici che culturali. Un esempio di ciò sono i "gusti acquisiti", ossia determinati cibi che vengono apprezzati solamente dopo un certo "allenamento" e/o per consuetudine culturale (viene in mente il Durian: frutto indonesiano dall'odore simile a "escrementi animali e materiale purulento" molto apprezzato dalla popolazione locale)

Gusto e olfatto sono probabilmente i sensi che subiscono il maggior "addestramento culturale": a seconda della zona del mondo in cui siamo nati, dell'ambiente naturale, del tipo di cucina e odori che ci circondano, sviluppiamo una maggiore o minore sensibilità riguardo determinati gusti ed aromi, spesso a discapito di altri.

Oltre a ciò, le abitudini alimentari personali possono influenzare il modo in cui si percepiscono i sapori (p.es. una persona che assume regolarmente troppo sale potrebbe sviluppare una minor sensibilità al senso di "salato"). Fumo, allergie, assunzione di determinati medicinali, carenza di zinco, insufficienza renale, scarsa igiene orale, determinati problemi orofaringei e neurologici possono modificare la percezione di gusto ed olfatto. Il corpo stesso influisce sul senso del gusto:

Se da un lato é noto il modo in cui ambiente ed abitudini alimentari modificano il gusto, si discute poco dei livelli di sensibilità "fisiologica" di gusto ed olfatto: sono riconosciute differenze di sensibilità gustativa ed olfattiva tra maschi e femmine, così come é risaputo che questi sensi si sviluppano e cambiano molto durante le fasi della crescita.

In realtà, all'infuori dei fattori culturali, delle abitudini alimentari, dei problemi fisici e neurologici, ogni persona ha una sua specifica sensibilità fisiologica ad odori e sapori che non può superare.

Come il daltonico che non distingue il verde dal rosso vi sono persone che non distinguono determinate sfumature di sapore: messi di fronte a dieci assaggi di oli diversi, Matteo potrebbe trovare dieci sfumature distinte mentre Gianni potrebbe essere solo in grado di dividerli in soli tre gruppi (più saporito, meno saporito e medio).


E QUINDI
E quindi, dopo questa lunga premessa, torniamo ad Hotelbizarre per una riflessione.

Se le premesse sono queste verrebbe da dire che il giudizio definitivo sul gusto di una pietanza può esser espresso solamente da una persona dal senso del gusto molto sviluppato e dotato di una cultura culinaria "aperta", ma ha senso seguire tali giudizi se le proprie capacità gustative non raggiungono tali livelli?

Se Matteo, in grado di riconoscere sfumature di sapore sottilissime, é disposto a spendere cifre elevate per una determinata pietanza, ha senso che sia imitato da Gianni, che non é in grado di distinguerla dal suo equivalente più economico?

Ovviamente non stiamo parlando dell'intera "esperienza ristorante" in cui intervengono numerosi altri fattori, né del valore nutrizionale del cibo in questione, ma ci limitiamo ad una sola riflessione sull'esperienza gustativa.

E' fuori discussione che per godere appieno di ciò che ci circonda e che ci viene proposto é indispensabile una certa apertura alle novità ed un certo sforzo nel coglierne le caratteristiche ma arrivati ad un certo punto é anche necessario saper riconoscere i propri limiti e cercare appagamento entro questi.


Questa riflessione nasce dall'osservazione di molti clienti che tentano di seguire indicazioni e suggerimenti culinari "alti" (vedi: guide gastronomiche) anziché godere veramente dei propri sensi. Ovviamente bisogna tener conto dell'effetto pubblicitario che un commento "da fonte altolocata" genera, ma molte volte l'affidamento che molte persone fanno a queste fonti assume toni quantomeno bizzarri. Un piatto semplice-semplice presente da anni nel Menù, può divenir di colpo un "successone" a scapito di numerose altre pietanze oggettivamente più interessanti. Certo non dispiace, ma fa riflettere. Ridicolo ad esempio é il caso di certi piatti che essendo citati su una guida, non si possono più togliere dal menù, specie nel caso in cui la guida abbia citato un piatto di stagione o che, prima di esser stato citato, non aveva incontrato i gusti della clientela.

Non ultimi vanno citati casi ben conosciuti di esercizi di ottimo valore ma poiché non promossi dalle "grandi firme" e non entrando nel "gotha dell'alta ristorazione", vivono di una fama minore, nonostante l'apprezzamento generale.

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